Mentre la TV diceva

Giulia Blasi

Una scrittrice, formatrice e public speaker, autrice di diversi romanzi, dei saggi Manuale per ragazze rivoluzionarie, Rivoluzione Z e Brutta - Storia di un corpo come tanti, e del romanzo Cose mai successe, tutti editi da Rizzoli. Ha all’attivo diverse campagne di sensibilizzazione su questioni relative ai diritti civili e di autodeterminazione, fra le quali #quellavoltache, antesignana di #metoo in Italia. Il suo ultimo saggio si intitola La felicità è un atto politico.

<< Le vacanze anni ’80 hanno i colori sparati, nero e fucsia, giallo neon, verde brillante e l’aspetto un po’ sgranato delle immagini nelle TV a tubo catodico.  >>

Per la mia generazione, quella nata negli anni ’60 e ’70, la vacanza ha il colore delle fotografie analogiche usate per immortalarla e dei programmi televisivi che ancora girano sulle reti nazionali di notte. La memoria funziona così, si modifica nel tempo adeguandosi agli stimoli: la vacanza dei nostri ricordi d’infanzia vira al seppia, a tutte le tonalità del marrone, al beige delle strade ancora non asfaltate e della sabbia dei litorali. La TV era in bianco e nero, e i volti delle nonne ritratte nelle Polaroid sbiadiscono sotto le cofane di capelli inchiodate dalla lacca.
 
Le vacanze anni ’80 hanno i colori sparati, nero e fucsia, giallo neon, verde brillante e l’aspetto un po’ sgranato delle immagini nelle TV a tubo catodico. Tutto negli anni ’80 è  troppo: il trucco è massimalista, tutto rossetti brillanti, occhi bistrati di matita, strisce di fard a sottolineare gli zigomi. I capelli sono chiome leonine, le maglie lasciano scoperte le spalle, gli orecchini sono giganti, il bikini di Sabrina Salerno che canta Boys, Boys, Boys immersa nella piscina di un hotel è di un bianco che suggerisce trasparenze indimenticabili. Negli anni ’80 la mia amica Samantha torna in paese abbronzatissima e gli occhi pieni di luce,  è stata in un villaggio vacanze e si è presa una cotta per uno degli animatori. Io non guardo i ragazzi più grandi, ma lei è rapita, me lo descrive nei minimi dettagli. Chi non va in villaggio vacanze trascorre comunque  qualche settimana di ferie con la famiglia, quasi sempre al mare, a respirare lo iodio, come dicevano le nostre mamme terricole, che ci portavano in spiaggia senza protezione  solare perché allora si pensava che il sole facesse bene alla pelle.
 
Ogni decennio ha le sue nostalgie, e quegli anni – che sono la nostra, quella della Generazione X – non fanno eccezione. I nati nel dopoguerra rimpiangono l’innocenza degli  anni ’50 e la spudoratezza degli anni ’60: nel 1983 al cinema escono i due Sapore di mare firmati dai fratelli Vanzina, quasi un film in due parti, un’ode alla giovinezza perduta dei Baby Boomer, che si guardano indietro cercando di ricatturare il loro momento magico, e facendolo insegnano anche a noi il rimpianto per il momento sublime dalla vacanza giovanile, in cui era facile sentirsi infiniti e inesorabili come l’universo.
 
Sono gli anni di Deejay Television e del Festivalbar che esplode sulle reti Fininvest e delle hit che nascondono paura e disagio nel doppio fondo di motivetti allegri. Vamos a la playa dei Righeira parla di un’esplosione atomica, come anche Tropicana del Gruppo Italiano, ed era post-atomico anche l’immaginario di un successo che estivo non era, ma che è ormai un classico senza tempo: il  video di Wild Boys dei Duran Duran, la band più Eighties fra tutte le band degli Eighties
 
Hanno un lato oscuro, quegli anni, eredi della paura del terrorismo e della guerra fredda: ma noi siamo giovani, è luglio, agosto, l’Adriatico è una riga blu che curva impercettibilmente alla  periferia del campo visivo. Impariamo qualche parola di tedesco dalle ragazzine austriache  all’appartamento accanto, ci spieghiamo a gesti con i norvegesi. Sono vacanze pigre, abitudinarie. Di giorno in spiaggia con i panini al prosciutto, la sera a casa, al massimo – nella prima adolescenza – una scappata in sala giochi con gli amici che ogni anno tornano sempre lì. Siamo adolescenti in un tempo senza cellulari, possiamo sparire per ore dopo aver fornito ai nostri genitori indicazioni più che vaghe su dove passeremo la serata, ma poi andiamo a dormire presto. Oppure no. Ogni nostalgia ha un sapore diverso, ma tutte hanno una cosa in comune: sono il desiderio di tornare a quando eravamo abbagliati dalla nostra stessa luce. Chissà di che colore saranno le nostalgie della Generazione Z, quale filtro social resterà aggrappato alla loro memoria, modificandola in maniera irreversibile.
 
Ah, l’animatore. Quasi dimenticavo. Samantha me lo mostra sul catalogo del tour operator, in cui è ritratto insieme a una ragazza. Si chiama Fiorello, dice. È il più fico di tutti. Nel 1993, quando i voli low cost hanno già disintegrato l’idea di villeggiatura tutti insieme nello stesso posto estate dopo estate, mi ritrovo in piazza Unità d’Italia a Trieste  con un microfono in mano, a cantare su un palco nella tappa locale di Karaoke, condotto da un ex animatore di villaggio turistico di nome Fiorello, che ormai è una star. La mia canzone? Tropicana.
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