Quando la moglie e in vacanza (tu che fai)?

Emilio Risi

Dopo gli studi universitari ha lavorato nel marketing di due multinazionali, dell’alberghiero e del business travel, per poi approdare in una casa editrice specializzata nel turismo business to business. Qui ha curato le pubblicazioni di libri e magazine, così come l’ideazione di eventi di formazione e convegni. Dal 2021 scrive la newsletter 21 Grammi di Turismo dove racconta il turismo tra economia, etica e società.

<< Sbirciare tra le pieghe dei film può essere un modo per capire le evoluzioni sociali e provare a dare un’interpretazione alla domanda: come sono cambiate le vacanze degli italiani? >>

È un’estate calda, accompagna la moglie e il figlio in stazione, lui invece resta in città perché deve lavorare. Mentre torna a casa incontra una donna, è molto bella, ecco che tutto inizia. La donna molto bella è Marilyn Monroe e il film è Quando la moglie è in vacanza, la commedia di un gigante del cinema come Billy Wilder

Il marito resta, la moglie e i figli partono: una scena di vita tanto normale da poterla rendere un espediente narrativo.

Non sono di Manhattan come quei personaggi, sono cresciuto in Puglia, e sono stato bambino trent’anni dopo quel film, eppure alcune dinamiche erano simili, anche se in contesti diversi. 

Guardavo con invidia le famiglie che si trasferivano al mare per tre mesi, nei campeggi del Gargano. Campeggiatrici organizzatissime, scrivo al femminile perché la regia dei lavori era sempre della donna, ricreavano una seconda casa nella piazzola. E il marito, di solito, ci andava nel fine settimana. 

Sbirciare tra le pieghe dei film può essere un modo per capire le evoluzioni sociali e provare a dare un’interpretazione alla domanda: come sono cambiate le vacanze degli italiani?

Un tempo, per chi se lo poteva permettere, era normale fare la villeggiatura: trasferirsi in una seconda residenza, in genere di campagna, per più mesi all’anno. Spesso in autunno, perché c’era la vendemmia o la caccia. Un’attività ereditata, per così dire, dall’aristocrazia, e infatti leggere di questo cambio di residenza non è inusuale anche in molti classici della letteratura. E in un certo senso la scena iniziale di Quando la moglie è in vacanza può essere vista come un’eredità di quella villeggiatura: ci si sposta in un luogo più piacevole, più salubre, la differenza è che adesso il marito resta in città a lavorare.
A un certo punto l’idea di vacanza inizia a cambiare. C’è un altro film magistrale, Il sorpasso,
che lo racconta molto bene. È ferragosto e la città è deserta, siamo nel 1962, gli anni del boom. Uno spaccone e un introverso si conoscono per caso e partono insieme in auto. Si viaggia e si va anche al mare, dove c’è il disegno della spensieratezza e del divertimento. Bruno, il guascone, è il ritratto di quella voglia di divertirsi a ogni costo. Ma anche la città vuota è un ritratto.

Oggi le città non si svuotano più in quel modo, il nostro modo di viaggiare è più parcellizzato, anche se l’Italia resta legata all’estate, ancora di più all’agosto: le interminabili ferie estive scolastiche e le anacronistiche sospensioni agostane dei tribunali sono uno specchio di come ancora oggi la nostra società sia impostata sulla lunga pausa estiva. E questo si riflette anche sul modo di viaggiare.

A proposito di divertimento, la scrittrice americana Joan Didion nel suo libro L’anno del pensiero magico, evidenzia come nei paesi occidentali, e soprattutto negli Stati Uniti, sia cambiato il rapporto nei confronti del lutto: «Il rifiuto del lutto espresso pubblicamente come una conseguenza della crescente pressione di un nuovo “dovere etico di divertirsi”, un nuovo imperativo di non fare nulla che potrebbe ridurre il piacere degli altri».

Mi ha colpito l’espressione “dovere etico di divertirsi”, sposta un’altra pedina sullo scacchiere: prima c’è la villeggiatura; poi la vacanza, come riflesso del boom; infine il divertirsi che diventa un imperativo. 

Un insieme di piccoli ma continui cambiamenti che hanno attraversato il turismo organizzato italiano. 

In alcuni casi i creatori di vacanze hanno capito e assecondato i desideri della domanda, dei turisti. In altri li hanno anticipati, inventando delle formule nuove.

Con il boom economico le agenzie di viaggio (che in quel periodo erano contingentate) hanno iniziato a proporre l’estero, perfino destinazioni che poco tempo prima sarebbero state impensabili.

Ed è nato anche il villaggio, nella sua concezione moderna, un modello che incorpora tutte queste fasi. Alla base riproduce un modello di comunità che rassicura e riporta all’idea di villeggiatura, che con il crescente benessere ha permesso a una moltitudine di italiani di conoscere posti nuovi, ma in tranquillità. 

Visito un posto esotico, ma continuo a parlare la mia lingua. Vado in un Paese lontano, ma mangio la mia pasta. 

Il villaggio, poi, ha fatto suo il concetto di “dovere etico di divertirsi”, e con l’animazione l’ha reso parte integrante di un intero Paese.

A guardarlo oggi, però, gli somiglia ma non è più la stessa cosa. Si è adattato alla nuova generazione di viaggiatori. 

Il bello è che certi modelli turistici non si estinguono del tutto, talvolta sopravvive una radice antica. E così giovani famiglie dopo aver fatto un lungo viaggio o aver passato una settimana in un villaggio alle Maldive, al ritorno vanno nella casa al mare dei nonni. E lì un’altra generazione prosegue il rito della villeggiatura nella sua forma più classica.

E proprio adesso, nel 2025? Magari lo capiremo meglio tra qualche anno analizzando un altro film, ma posso dire quello che spero: che le vacanze degli italiani guardino alla consapevolezza, non importa se alimentate dalla voglia di divertimento o conoscenza; che i viaggiatori abbiano un’idea sempre più concreta dei luoghi dove soggiornano, azzerando gli stereotipi.

Perché penso sia il primo passo per avere un turismo sostenibile nel tempo, che continui a farci sognare a lungo.
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